Educazione e didattica di psicologia e psicoterapia a Grossteo

Voglio che tu vada in una trance così profonda che ti sembri di essere una mente senza corpo, che ti sembri che la tua mente galleggi nello spazio e che galleggi nel tempo. E voglio che tu scelga un momento nel passato in cui eri una bambina piccola piccola. E la mia voce ti accompagnerà.
(Milton H. Erickson)

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La relazione col bambino………l’autostima dell’adulto!

Pubblicato in data 19/04/2022

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Spesso negli adulti i problemi connessi all’autostima sono i risultati delle relazioni che si sviluppano con le figure genitoriali durante l’infanzia.
Per il bambino durante il periodo dell’infanzia è importante un’adeguata comunicazione: sia dal punto di vista educativo, per la trasmissione di valori e per percepire le figure genitoriali come “porto sicuro” nel processo di attaccamento, sia per l’esplorazione del mondo esterno, sia come sviluppo funzionale della personalità e dell’autostima.
Nell’esperienza del problem solving ad esempio, spesso i genitori offrono direttamente soluzioni al bambino senza ascoltarlo attentamente, credendo che quello che è “giusto” per loro lo sia anche per lui.
L’ascolto da parte dell’adulto, nel periodo dell’infanzia, si può considerare lo strumento fondamentale attraverso il quale i genitori costruiscono col bambino una comunicazione efficace. Essere ascoltato innanzi tutto consente al bambino di sentirsi riconosciuto come persona all’interno del nucleo familiare e quindi si sente identificato come “soggetto indipendente”, consentendogli poi di sviluppare un sistema di relazioni sociali adeguate anche al di fuori del sistema familiare.
Nella relazione con l’adulto di riferimento il bambino avverte inevitabilmente questa figura come predominante rispetto a lui, quindi è importante che l’adulto si metta al livello del bambino per comunicare con lui, attraverso la comunicazione verbale (stimolarlo a parlare, porre domande, ecc), ma anche con la comunicazione non verbale (ascolto attivo, atteggiamenti, espressioni ecc.), evitando di impartirgli consigli come soluzioni dirette, che a volte possono sembrare anche imposte, perché è proprio in queste occasioni che potrebbe essere compromessa la sua autostima, minando così lo sviluppo di una personalità adeguata nel costruire relazioni sociali.
L’essere troppo protettivi impedendo al bambino di formulare delle scelte senza nemmeno ascoltarlo o senza spiegargli come mai la sua scelta non è adeguata ed evitando di farlo ragionare, può risultare sempre più semplice e sicuro per l’adulto formulare una scelta “imposta” da lui. Così facendo non solo si rischia di andare ad interferire sulla sua capacità di imparare a scegliere ma anche su un suo sviluppo armonioso verso la propria autonomia e verso una vita serena e felice.
È chiaro che il comportamento del genitore in questi casi è normalmente finalizzato, al benessere del figlio e la condotta del genitore spesso è guidata da un ragionamento apparentemente lineare: pensare che questo e mio figlio fa pensare che è uguale a me!
Questa “equazione” irreale purtroppo trae in inganno e può far commettere gravi errori, ferme restando le buone finalità del genitore.
I nostri figli ci assomigliano sicuramente ma non sono uguali a noi. Possono avere aspetti caratteriali simili; ma non uguali!
È con questa consapevolezza che è importante che il genitore si relazioni col figlio, proprio come persona diversa da lui e per comprendere com’è una persona diversa bisogna conoscerla e per conoscerla bisogna anche “ascoltarla”.
Pensiamo per un attimo a noi stessi: “quando comunichiamo con un'altra persona ed esponiamo un nostro problema, ci serve più essere ascoltati e capiti oppure ci serve la soluzione offerta dal nostro interlocutore?”
Ci servono le soluzioni degli altri oppure ci serve che gli altri ci aiutino a trovare le nostre soluzioni?
Tralasciando un fatto che non è di poco conto e cioè che quando noi comunichiamo con gli altri normalmente sviluppiamo una comunicazione “simmetrica” cioè alla pari, tra adulti e questo ci mette già più a nostro agio nella relazione! I figli spesso non vivono questa situazione quando si relazionano con i propri genitori.
Genitori non si nasce si diventa, quindi noi agiamo con gli strumenti che ci sono stati dati e che abbiamo acquisito con le esperienze della vita fatte fino a quel momento.
La paura di sbagliare purtroppo spesso ci fa sbagliare! Ascoltare un bambino che è nostro figlio, ci può fare paura per non essere sicuri di saper rispondere alle sue domande o per non essere sicuri di rispondere in maniera soddisfacente, paura di perdere la sua stima, quindi risulta più semplice presentarsi in maniera imponente e “impedirgli” di chiedere troppo o di esplorare la realtà secondo i suoi desideri che per noi potrebbero essere incomprensibili e quindi farci sentire inadeguati al confronto.
Ricordiamo che i nostri figli ci amano e questo è un punto fermo e sicuramente a nostro vantaggio che però bisogna saper sfruttare bene. Non possiamo ma perdere la loro stima semplicemente dicendo non lo so, scopriamolo insieme, insegnamelo tu, tu come lo faresti, ecc…
Quanto detto fino adesso riguarda particolarmente la figura genitoriale ma i bambini raggiunta una certa età iniziano a frequentare la scuola e la figura adulta di riferimento, in questo contesto, inizia ad essere l’educatore-insegnate.
Anche per l’educatore è importante più che mai una buona capacità di ascolto attivo:
• perché in quel contesto non si relaziona solo con un bambino;
• perché non rischi di entrare involontariamente in conflitto con l’azione educativa della famiglia nello sviluppo della persona;
• per costruire con la famiglia un’azione comune nella soluzione di problemi che il bambino non riesce ad affrontare e sostenerlo nella crescita verso l’autonomia.
Spesso sono proprio gli educatori-insegnanti che si accorgono di certe problematiche che si manifestano nei bambini che potrebbero essere causate da atti comunicativi poco adeguati che si sviluppano nelle relazioni familiari.
È importante che in questo caso mettere da parte la paura del giudizio (genitori si diventa non si nasce) per iniziare una collaborazione fattiva con gli educatori-insegnati nell’interesse del bambino prima di tutto ma anche nell’interesse di tutta la famiglia.
Dopo quanto detto in merito alla relazione tra bambino e figura adulta di riferimento, affinché il bambino possa sviluppare un’autostima che lo faccia sentire adeguato in ogni contesto in cui si troverà nella vita, è sicuramente importante sviluppare una relazione significativa che si basa su dei punti essenziali:
• porsi in ascolto attivo col bambino mentre ci esprime il suo problema;
• porre attenzione alle sue emozioni insegnandogli a riconoscerle e darle un nome;
• riassumere con lui quanto ci ha riferito, confermando l’ascolto attivo, senza giudicare e senza dare soluzioni a priori
• stimolare nel bambino il ragionamento finalizzato a sviluppare ipotesi risolutive del problema
L’aspetto emotivo è fondamentale nelle relazioni genitoriali, spesso i figli non parlano dei loro problemi perché hanno paura di far soffrire i propri genitori o di deluderli e i genitori percepiscono impotenti l’infelicità del figlio.
Questo determina in loro altra sofferenza, sensi di colpa immotivati tutto sembra sfuggire dal controllo peggiorando le relazioni e la sofferenza della famiglia.
È importante quindi ascoltare quello che i figli non ci comunicano verbalmente ma emotivamente.
Spesso per i figli ricevere fiducia da parte dei genitori è un modo per essere compresi.
Quando non ci sono ragionevoli condizioni di pericolo per i figli, sapere che i genitori non temono per loro perché loro sono in grado di farcela, è un messaggio molto importante che essi si aspettano, essendo consapevoli del fatto che non sono soli e che possono contare sempre sulle figure di accudimento, come un punto di riferimento stabile che in caso di bisogno loro possono sempre trovare.
Questo consentirà loro di esplorare il mondo con sicurezza e serenità, a diventare autonomi, indipendenti e sicuri di sé, sviluppando un’autostima funzionale, a vivere adeguatamente tutti i contesti che incontreranno nel corso della loro vita; una vita serena e piena di relazioni sociali.

Vanni Pippi

Cambiare il linguaggio per cambiare la mente e favorire qualsiasi apprendimento

Pubblicato in data 03/02/2022

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cambiare il linguaggio

ComunicaMente è un insieme di schemi tecniche e strategie che consentono di sfruttare in modo strategico il linguaggio per cambiare la mente e favorire l’apprendimento.
Si ispira al lavoro di Milton H. Erickson, che ha aperto la strada alla psicoterapia ipnotica e ha sviluppato, tra gli atri strumenti, strategie terapeutiche basate sull’idea che cambiare il linguaggio consente di cambiare la mente.
Erickson ha messo in evidenza che il modello linguistico che usiamo lo acquisiamo acriticamente, in una ripetizione senza analisi, nell’ambiente dove viviamo.
La comunicazione, sia rivolta agli altri che a noi stessi, usa un linguaggio che assume la forma di una mappa. Questa influenza l’immaginazione, i pensieri e le emozioni. Quindi, la mappa del linguaggio filtra la nostra realtà. Cambiare il linguaggio per cambiare la mente passa, tra le altre cose, attraverso la capacità di riconoscere questo schema e cambiarlo.
È mediante questa mappa che si esprimono elementi come l’ambiente, le convinzioni, l’identità, i valori e i comportamenti, nostri e altrui. Inoltre, ricordiamoci che la comunicazione è uno scambio di informazioni e di influenzamento tra due e più persone in un determinato contesto, per cui attraverso di essa abbiamo l’enorme potere di influenzare noi stessi e chi ci sta davanti. Tuttavia, generalmente siamo consapevoli di ciò che diciamo, ma non di come lo stiamo dicendo.
Diventare consapevoli dei termini e del modo in cui ne facciamo uso, tuttavia, fa assumere una prospettiva diversa alle relazioni che intrecciamo con gli altri e con noi stessi.
Esiste un tipo di linguaggio, interiore o esterno, che toglie potere. In realtà ne esiste più di uno. Un esempio è la frase “l’insegnante mi fa agitare”. Questa espressione non solo riduce il nostro potere, ma lo mette nelle mani di un’altra persona.
Per cambiare i nostri schemi linguistici, il primo passo è sapere come li stiamo applicando. Lo stesso concetto, detto invertendo le parole, “Sono agitata quando sono con il mio insegnante”, sembra apparentemente lo stesso, ma in realtà cambia tutto. Infatti, in quest’ultimo caso io stesso ho il potere di cambiare un fatto sgradevole o addirittura deleterio.
Il linguaggio ipnotico usato da Milton Erickson a cui si ispira ComunicaMente è uno degli strumenti con cui possiamo assumere consapevolezza e cambiare i nostri modelli linguistici. L’obiettivo è migliorare la percezione e l’atteggiamento nei confronti di aspetti specifici della vita e in senso più specifico dell’educazione e dell’apprendimento.
Essere coscienti di come questi schemi influenzino le emozioni positive e negative, secondo il paradigma ideato da Erickson, è il primo passo verso il cambiamento.
Un docente, così come un oratore capace di catalizzare l'attenzione del suo pubblico prima ancora di aprire bocca, come un incantatore di serpenti, o come una persona che riesce ad affacciarsi sull'orlo di un precipizio nonostante soffra la paura delle altezze, deve essere in grado di cambiare la percezione della realtà dei suoi allievi, orientandone l'esperienza, le emozioni e quindi i comportamenti e gli apprendimenti. Paul Watzlawick definì «ipnosi senza trance» questo modo di comunicare attraverso linguaggio verbale e linguaggio del corpo, in grado di attivare nel soggetto che ne viene investito uno stato di potente suggestione; se lo si applica al mondo della psicoterapia, si parla di «ipnoterapia senza trance», se lo si applica nel mondo dell’educazione e dell’apprendimento si chiama ComunicaMente.
Tra gli elementi caratterizzanti di questo approccio nell’ articolo citiamo:
• La nominalizzazione: cioè quei termini che nella frase occupano il posto di un nome, ma non sono tangibili, perché riguardano qualcosa che non si può toccare, sentire, udire. Il criterio di identificazione di una nominalizzazione è: "Puoi metterlo in una carriola?" Ogni volta che si utilizza una nominalizzazione viene cancellata una grande quantità di informazione. Se dico: "Antonella possiede molte conoscenze" ho cancellato che cosa sa esattamente e come lo sa. L’uso di nominalizzazioni obbliga il cliente e/o allievo a recuperare le parti cancellate attivando, dal suo modello del mondo, il significato che servirà meglio i suoi propositi e i suoi bisogni. Le induzioni di Milton sono piene di nominalizzazioni:
“So che nella vita Lei prova certe difficoltà che vorrebbe poter portare a soddisfacente risoluzione ...e non so con esattezza quali tra le sue personali risorse Lei trovi più utile per risolvere questa difficoltà, ma quello che so è che la sua mente inconscia sa meglio di Lei ricercare nella sua esperienza quella precisa risorsa...Notate che queste parole utilizzate nella vita di ogni giorno hanno una capacità di induzione naturale, parole come una certa sensazione, speranze, sogni, capacità, ricordi, avventuroso...Sono parole che convogliano ben più significati di quanti qualunque parlante potrebbe mai sperare di trasmettere. L’ipnotista genera la ricerca interna fissando l’attenzione del soggetto. Questo avviene quando il terapeuta implica che questi termini carichi di tanti significati in realtà ne trasmettano uno ben preciso: "E tu sai già di quale piacevole sensazione io stia parlando". La ricerca interna è appunto un tentativo di eliminare il gran numero di significati opzionali e di trovare quello particolare che è stato implicato.
• Uso del “No”. L’espressione della negazione non esiste in quanto tale nelle immagini mentali, nei suoni o nelle sensazioni. La negazione esiste solo nel linguaggio parlato, scritto o nelle rappresentazioni simboliche e mai nelle immagini mentali. L’esempio più noto è il comando “non pensare a un elefante blu”. La mente non percepisce il “no”, ma “vede” solo un elefante blu.
• Sottolineatura analogica. Strumento di persuasione creato da Erickson e basato sull’idea che solo una parte della nostra comunicazione avviene a livello cosciente. La sottolineatura per analogia si applica enfatizzando la parola che si desidera fissare nel subconscio di chi ascolta. Si ottiene, ad esempio, facendo seguire una pausa o un gesto alla parola in questione oppure cambiando il tono di voce.

di Antonella De Luca

Una comunicazione persuasiva per un apprendimento efficace: dal fumetto alle “frazioni musicali”. Un’esperienza nella scuola.

Pubblicato in data 27/11/2021

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comunicamente

In questo articolo trovate la descrizione di un progetto realizzato con le tecniche e le strategie di ComunicaMente, svolto dalla maestra Gioia Ricci ed i suoi allievi.

Per leggere l'articolo cliccate sul seguente Link:

https://drive.google.com/file/d/19SsyPoo2lL3LIkTguPc4dn42N3ZJCqxY/view?usp=sharing