Voglio che tu vada in una trance così profonda che ti sembri di essere una mente senza corpo, che ti sembri che la tua mente galleggi nello spazio e che galleggi
nel tempo. E voglio che tu scelga un momento nel passato in cui eri una bambina piccola piccola. E la mia voce ti accompagnerà.
(Milton H. Erickson)
Ikigai è una parola magica giapponese, così magica che non ne esiste una traduzione semplice nelle lingue occidentali. In italiano, visto che “Iki” vuol dire “esistenza” e “gai” è utilizzato per indicare lo “scopo”, possiamo dire che significhi “lo scopo della vita”, “la ragione di esistere”, “il motore della vita”, o ancora meglio “ciò per cui vale la pena di alzarsi la mattina”. Ognuno di noi possiede il proprio Ikigai, anche se non tutti ne sono consapevoli: è la premessa fondamentale per vivere una vita sana e felice. Ne sono un esempio gli abitanti dell'isola giapponese di Okinawa, i quali con la loro consapevolezza riguardo al proprio Ikigai, unita a uno stile di vita sano e rilassato, li rende una tra le popolazioni più longeve e felici del pianeta. Da sempre l’essere umano si interroga su quale sia lo scopo della sua presenza su questa terra. Un tempo erano riflessioni per pochi. Oggi, soprattutto nel mondo occidentale, la maggior parte delle persone ha il tempo, l’educazione, le possibilità e gli strumenti per pensare al senso della vita. Così succede che in moltissimi inizino a chiedersi se il loro scopo sia quello di lavorare per guadagnare, svolgendo un’attività detestabile e avvilente; oppure quello di passare tutta la vita nello stesso luogo a fare le stesse cose, con il pilota automatico, consumando il tempo. Sono riflessioni complesse, ma necessarie per iniziare a costruirsi una vita felice. Prima devi capire se quello che stai facendo è giusto per te e per il tuo benessere emotivo. Se non è così, devi cambiare e muoverti in un’altra direzione. Il problema è che moltissime persone si bloccano al primo step: sanno di essere infelici, ma non sanno cosa dovrebbero fare per cambiare la situazione. Trovare un senso alla propria esistenza, avere dei propositi nella vita è fondamentale per allontanare la disperazione ed è, soprattutto, un’efficace forma terapeutica per combattere alcune delle malattie più diffuse al giorno d’oggi: l’ansia e la depressione. Con il nostro Ikigai possiamo recuperare le forze, l’energia, la motivazione. I pensieri positivi agiscono come veri ammortizzatori delle convinzioni limitanti, delle paure e di tutti quei pensieri disfunzionali (comprese le idee suicide). L’Ikigai è dato dall’intersezione di quattro dimensioni di base: • ciò che ami fare → Passione • ciò in cui sei bravo→ Vocazione • ciò che può apportare un cambiamento positivo al mondo→ Missione • ciò con cui puoi guadagnarti da vivere→ Professione
Trova una strada che rispetti ognuno di questi quattro parametri e troverai il tuo scopo nella vita. Nel tempo, in particolare attraverso le mie varie esperienze personali, mi sono resa conto che il mio “Ikigai” è proprio ciò che già in precedenza ritenevo uno dei miei motivi di massima realizzazione personale, un aspetto che riguarda principalmente la sfera della comunicazione interiore ed esteriore: Infatti, per me la comunicazione è: • ciò che amo fare; • una delle cose migliori che sappia fare; • lo strumento per diffondere un messaggio di positività attraverso le pagine di questo sito; • il mio lavoro. Da queste mie riflessioni nasce il “progetto di vita” che ho chiamato: ComunicaMente.
Se domani dovessi vincere alla lotteria, puoi stare certo che continuerei il mio progetto ComunicaMente. ComunicaMente può aiutare a trovare lo scopo della tua vita, il tuo motivo di esistere, trova un punto in comune tra ciò che ami, ciò che sai fare bene, ciò che serve al mondo e ciò per cui potresti farti pagare. Te lo assicuro: proprio come è successo a me, così troverai le coordinate della tua felicità.
Il bambino ha in sé un insieme di mondi da scoprire. La genetica, l’esperienza e la sua indole sono gli elementi che conducono alla formazione giorno per giorno di questi mondi interni. Compito dell’educazione è quello di far scoprire e sperimentare al bambino il suo abisso interiore per, poi, farlo emergere e splendere come occhio di un faro che lo guida nel mare immenso della vita. Per permettere questo processo, l’individuo ha bisogno di un aiuto: la comunicazione. Questo strumento viene concepito come un interscambio attivo e compartecipato tra persone. Scambio sincero in cui non soltanto attraverso le parole, ma con voce, corpo e mente, avviene un’espressione totale del sé. La comunicazione efficace in una relazione si realizza quando i due comunicanti sono interconnessi da un rapport, legame basato sulla fiducia, l’accoglienza e l’empatia verso l’altro. In queste condizioni, gli individui offrono la loro umanità all’altro sé, secondo una logica circolare. Altro nobile fine della comunicazione è, per l’appunto, la conoscenza profonda interiore, attraverso un’immersione nelle nostre peculiarità, debolezze e risorse interne. Dobbiamo dare la possibilità a queste caratteristiche di essere riconosciute e accolte. Sono tali potenzialità che rendono l’essere umano diverso e, per questo motivo, unico e irripetibile. Consentire la comunicazione con il nostro io e con l’altro, conduce non soltanto a un’espressione di noi stessi, ma anche ad una sperimentazione, crescita e costruzione continua della nostra esistenza. Vygostky sottolineava il ruolo sociale dell’educazione attraverso la stimolazione della zona di sviluppo prossimale del bambino, allo scopo di favorire l’apprendimento e lo sviluppo dell’individuo. È proprio lo scambio educativo e formativo che possiamo avere con l’altro che arricchisce e accresce le nostre esperienze di vita. Il ruolo dell’insegnante è quello di costituire un modello e una guida per i suoi alunni, seguendo la logica del principio montessoriano: “aiutami a fare da me”. L’educatore ha, pertanto, il dovere di accompagnare in presenza il bambino in un determinato momento della sua vita, per poi lasciarlo esplorare autonomamente e liberamente i mari, grazie anche alla consapevolezza, che porta con sé, degli apprendimenti acquisiti fondamentali alla navigazione. L’insegnante deve mandare dei feedback comunicativi e formativi al bambino affinché possa essere permessa la conoscenza. Questi stimoli non hanno lo scopo di valutare il bambino nella sua essenza, per demoralizzarlo o etichettarlo, bensì per aiutarlo ad acquisire padronanza di sé e per comprendere come possano avvenire dei cambiamenti significativi. Sia le risorse interne, che gli apprendimenti esperienziali, che i mezzi esterni divengono strumenti che l’individuo deve adoperare per realizzare e costruire la propria vita. Infatti, essi sono funzionali ai cambiamenti, alle scelte e alle azioni che orientano la persona nel suo futuro, non perdendo mai di vista il passato. Allo stesso tempo, un approccio all’educazione così ragionato, favorisce una concezione delle difficoltà e dei problemi, come un momento sfidante e stimolante per la crescita continua personale. Questi non vengono percepiti come limiti e fronteggiati con paura, ma vengono affrontati con degli strumenti che permettono di guadagnare un tassello in più nella nostra maturazione. Per oltrepassare queste situazioni sfidanti, necessario diviene la formulazione di nuove e feconde idee congruenti alla persona e a un determinato scopo. Tali condizioni sono il banco di prova del pensiero creativo. Infatti, questo raffinato processo intellettivo permette all’uomo di trovare percorsi innovativi ad un cammino sbarrato. La creatività è indispensabile per la persona, non solo per affrontare le difficoltà che la vita ci mette davanti quotidianamente, ma anche e soprattutto per dare colore alla nostra esistenza, come degli artisti che dipingono e realizzano la propria opera d’arte. Infatti, il pensiero creativo consiste in un abito mentale diverso rispetto al pensiero logico, il quale segue uno schema verticale di ragionamento che conduce da un punto iniziale A ad un solo e unico punto finale B. In questi algoritmi logici l’errore rappresenta un elemento che interrompe il ragionamento, costringendo la persona a ricominciare l’analisi. Tale pensiero si pone all’estremo opposto del pensiero creativo rispetto un continuum. La creatività è quel processo che permette alla persona di pensare in modo flessibile e innovativo, di saltare da un elemento ad un altro del problema secondo una logica istintivo-emozionale, di osservare la realtà da punti di vista differenti, di percepire l’errore come un nuovo inizio, di generare diverse idee e soluzioni, di realizzare prodotti unici e personali, di creare noi stessi. Per queste caratteristiche, Albert Einstein disse, infatti, che “la creatività non è altro che un’intelligenza che si diverte”. La comunicazione e il pensiero creativo emergono come due forze proattive e potenti in un’educazione volta allo sviluppo della persona nella sua totalità: corpo, mente, emozioni e relazioni. Tale concezione educativo-didattica consente la formazione di uomini empatici, creativi e liberi. Uomini che concepiscono la comunicazione efficace come strumento per vivere in una comunità fruttuosa per tutti e che sono pronti a prendere scelte e accogliere opportunità per spingere la società ad un progresso e ad un benessere comune.
Ludovica Caliciotti - Scienze della Formazione Primaria - Collaboratrice della Dott.ssa Antonella De Luca nel Progetto "ComunicaMente"
Nello sport come sappiamo bene, non è soltanto la componente fisica che conta, e questo vale anche negli sport di contatto. Sempre di più si attribuisce grande importanza alla preparazione mentale dell’atleta, dando molta importanza a quest’ultima. Sono molti gli ambiti in cui l’aspetto psicologico (mentale) gioca un ruolo a volte cruciale per gli atleti. Possiamo accennare al livello di prestazione, allo stato di flow l’autoefficacia, la visualizzazione e la gestione degli stati mentali e delle emozioni, in particolar modo quando parliamo di ansia da prestazione o traumi. L’ipnosi risulta essere una delle pratiche sempre più utilizzate per lavorare con gli sportivi, in quanto, in alcuni casi può essere più rapida nel dare i risultati attesi. Alcuni cenni sull’ipnosi Una definizione molto semplice che sgombra la mente da concetti strani può essere che “l’ipnosi è uno stato alternativo di coscienza”. Naturalmente alternativo rispetto al consueto stato di veglia. Raggiungere lo stato ipnotico vuol dire “baipassare” la nostra capacità critica, ossia la nostra mente razionale che ci tiene in uno stato vigile. Il cambiamento si raggiunge in vari step: se potessimo seguire con un elettroencefalogramma il processo di induzione ipnotica, nello stato di coscienza vedremmo registrare le “onde beta”, tipiche della veglia, le quali sarebbero sostituite poi dalle “onde alfa” quelle che caratterizzano lo stato di profondo rilassamento, fino al passaggio alle “onde theta”, molto più lente, caratteristiche dello “stato di trance”; è lo stato che precede il sogno. Raggiunto lo stato ipnotico l’ipnotista inizia ad utilizzare un linguaggio “metaforico” che consente di parlare all’emisfero destro (quello creativo), che è diventato l'emisfero dominante, rispetto al sinistro (razionale). Nello stato ipnotico l’ipnotista raggiunge la mente profonda del soggetto, alla quale fornisce delle suggestioni in modo che il soggetto possa generare cambiamenti significativi e funzionali allo scopo desiderato. In questo stato il soggetto può accedere direttamente alle proprie risorse inconsce ed utilizzarle per operare cambiamenti.Lo scopo è quello di creare una sinergia tra mente conscia e mente inconscia attraverso una determinata strategia. Questo consentirà al soggetto di avere una maggiore gestione del suo stato di equilibrio mente-corpo. Come si impiega l’ipnosi nello sport Attraverso strumenti diagnostici è stato osservato che in stato ipnotico le attività svolte dal soggetto non sono proprio virtuali come si può pensare. Tutt’altro se una persona crede di correre (questo avviene nella sua mente), attiva le stesse connessioni neuronali che si attivano durante la reale attività della corsa. Gli interventi dell’ipnosi nello sport per migliorare le prestazioni dell’atleta possono avere diverse finalità. Si possono migliorare le pratiche di allenamento mentale per migliorare l’efficacia attraverso tecniche di visualizzazione rivivendo mentalmente la gara oppure per migliorare il gesto. In questo modo si possono migliorare le capacità tecniche, la consapevolezza del corpo e la gestione emotiva. Se pensiamo ad altre discipline possiamo comprendere come il rallentamento del battito cardiaco sia un valido aiuto per chi pratica apnea, oppure come può essere utile essere in grado di modificare la propria temperatura corporea durante competizioni che si svolgono in condizioni climatiche avverse, essere in grado di dissociarsi mentalmente dalla sensazione di fatica fisica e mentale in competizioni di resistenza o di lunga durata e come può essere importante potenziare la concentrazione, il focus, su uno specifico obiettivo, per tutti coloro che competono con un bersaglio (pallacanestro, golf, tiro a segno ecc.). L’ipnosi però non aiuta soltanto ad aumentare le prestazioni lavorando sui punti di forza, ma anche agendo su particolari stati di ansia che rallentano o bloccano le prestazioni stesse. Saper agire sulle variabili emotive per un atleta può essere l’elemento che fa veramente la differenza nelle competizioni, oppure ripristinare rapidamente lo stato di equilibrio dopo un trauma. Alcune tecniche utilizzate L'Ego strengthening di Hartland: è una tecnica che normalmente viene utilizzata per aumentare l’autoefficacia e autostima e per abbassare l’ansia; la visualizzazione: con la tecnica di visualizzazione si può osservare ripetutamente il gesto atletico, rallentandolo per analizzarlo in ogni singolo dettaglio, per correggerne i difetti e ottimizzare l’esecuzione l’immaginazione guidata: intuitivamente simile ma normalmente si usa per rappresentare scenari futuri positivi, come ad esempio la vittoria in una competizione. Sperimentare una vittoria predispone a vincere, distogliendo la mente da quelle componenti che possono portare ad ansia e stress e, conseguentemente, ridurre il livello della prestazione. Presso il nostro studio le tecniche di ipnosi sono sviluppate integrandole con la PNL (Programmazione Neuro-Linguistica), questo consente, per le esperienze avute, di raggiungere e consolidare i risultati in maniera più rapida. Oltre all’ipnosi, nel nostro studio stiamo utilizzando moltissimo un’altra tecnica, con la quale stiamo perfezionando il metodo “ComunicaMente”; è la “time-line”, attraverso la quale il soggetto raggiunge uno “stato di trance” dopodiché vengono utilizzate tecniche che richiamano i tre accessi rappresentazionali: visivo, auditivo e cinestesico. Normalmente si usa per depotenziare esperienze passate che interferiscono sul presente.
Fare scuola nel nuovo millennio esige sempre più un’attenzione rinnovata capace di guardare non solo ai contenuti, ma soprattutto al “ben-essere”, cioè a un bene relazionale a cui tutti possono far riferimento, in cui i bambini e le bambine imparano a risolvere compiti cognitivi complessi e impegnativi, costruendo relazioni significative sia con gli adulti che con i coetanei. In particolare, tra le diverse forme di intelligenza definite da Gardner, risulta chiaro quanto e come l’“intelligenza interpersonale” si impone certamente come forma e tipologia di intelligenza insostituibile che la scuola deve curare con amore ed attenzione insieme a quel complesso intreccio di cognizioni, sentimenti ed emozioni coinvolti nei processi di decentramento ed empatia, che permettono di orientare il proprio e l’altrui comportamento verso mete e azioni positive, caratterizzate da una maggiore cooperazione, solidarietà e aiuto. È verso questa prospettiva che collimano tutti gli studi e le ricerche che gli addetti ai lavori hanno riservato a quella vasta quanto affascinante sfera di comportamenti che vengono inglobati, nell’accezione più tecnica, sotto il nome di comportamenti prosociali. L’attenzione e lo studio delle dinamiche prosociali è un argomento molto giovane che risale agli anni Sessanta e Settanta del XX sec.; in particolare fu Robert Roche lo studioso che si occupò di categorizzare abilità e comportamenti prosociali, definendoli come quei comportamenti che, senza la ricerca di ricompense esterne, beneficiano persone o gruppi con lo scopo sia di incrementare quella reciprocità positiva di qualità esistente nelle relazioni interpersonali, sia di salvaguardare l’identità, la creatività e l’iniziativa delle persone o dei gruppi coinvolti (Roche, 1991). Affinché un’azione si possa considerare prosociale, il ricevente deve accettarla, approvarla ed esserne soddisfatto. Questa definizione ha in nuce tutti quei comportamenti, definiti operativamente poi da Roche come categorie di azioni prosociali, che rispettano e nutrono quella pedagogia elaborata già negli anni Sessanta da Don Milani e fondata sull’inclusione e il conseguente diritto ad essere diversi: aiuto fisico, servizio, dare/donare, aiuto verbale, conforto verbale, conferma e valutazione positiva dell’altro, ascolto profondo, empatia, condivisione e presenza positiva e unità. Ma come è possibile sviluppare comportamenti prosociali negli alunni della scuola primaria e dell’infanzia favorendo l’apprendimento e il tanto auspicato processo di inclusione? Nella scuola dell’infanzia il gioco, riprendendo anche il pensiero di Huinzinga, è un ottimo strumento per veicolare apprendimenti, nonché assurge a funzione totalizzante per lo sviluppo cognitivo, morale e relazionale favorendo quei comportamenti prosociali sopra elencati, attraverso cui il bambino acquisisce consapevolezza della propria identità e gestisce con maggiore autonomia i conflitti. Nei suoi programmi di educazione alla prosocialità, Roche presenta diversi giochi quali ad esempio “Vedo…Vedo” o “Le qualità di…”, che permettono di incrementare la frequenza di valori positivi favorendo al contempo un concreto e reale processo di integrazione del bambino con disabilità, consci del fatto che l’integrazione scolastica non è un processo acquisito ma una prospettiva continua di studio e di ricerca. In un’ottica prosociale, attraverso l’utilizzo di contrassegni raffiguranti animali, in una sezione eterogenea di scuola dell’infanzia si possono assegnare ai bambini grandi animali di grande taglia, mentre ai bambini piccoli cuccioli di animali, maturando così nel gruppo classe atteggiamenti di aiuto, incoraggiamento e responsabilizzazione che verranno appresi dai più piccoli attraverso l’imitazione (modeling). Pratiche inclusive nella scuola dell’infanzia e primaria, che coniugano elegantemente l’aspetto verbale, non verbale e paraverbale della comunicazione, sono i giochi di ruolo e del mimo o anche la lettura di storie e racconti, che stimolano i bambini a riflettere sulle diverse tipologie di azioni prosociali che ogni giorno contestualmente possono essere messe in atto. Sul versante della scuola primaria trovano poi ampio spazio l’utilizzo di filmati, poesie che sollecitano tematiche prosociali grazie anche alla correlata discussione in gruppo e l’impiego di altre metodologie quali il brainstorming o il circle time che, discostandosi dalla lezione strettamente tradizionale, abbandonano quel classico timore di sbagliare che da sempre è parte intrinseca di ogni studente, permettendo l’espressione completa delle capacità di ognuno. Alcuni studiosi testimoniano quanto, durante gli anni della scuola primaria, abbandonare la concezione dell’insegnante come unico dispensatore di conoscenze per attivare la risorsa del tutoring tra pari e del cooperative learning (letteralmente apprendere cooperando) vuol dire non solo promuovere un modo di apprendere più vicino alla realtà dei bambini, ma anche riconoscere il valore delle diversità individuali, dell’interdipendenza positiva e dell’impiego di tutte le competenze sociali che all’interno del gruppo trovano ampia possibilità di espressione e supporto grazie alla solidarietà e il sostegno reciproco che queste metodologie esigono. Concludendo, si vuole direzionare gli insegnanti, e con essi tutto il sistema scuola, al preparare fin dalla più tenera età il terreno di coltura su cui far germogliare un’educazione alla prosocialità, garantendo così a ogni allievo di sentirsi accettato e stimato dai suoi compagni di classe e allo stesso tempo distinguersi positivamente accrescendo il proprio sentimento di autorealizzazione. Una scuola inclusiva infatti non può prescindere dal rafforzare e consolidare la propensione incondizionata verso l’altro, inibendo proprio quel timore delle differenze umane che spesso, sempre più frequentemente, si riversano negativamente sul disagio e l’isolamento sociale.
Con il contributo di Alessia Loffarelli, collaboratrice della Prof.ssa Antonella Deluca
Fin dall’antichità alla musica è sempre stato riconosciuto uno straordinario potere e un altissimo valore. Attorno ad essa ruota l’esistenza di intere generazioni e di singoli individui, ognuno dei quali riesce a dar vita alle proprie emozioni affidandosi ed entrando nella dimensione musicale.
“La musica apre la mente all’immaginazione, aiuta a raggiungere i sogni”. Salvatore Sciarrino
La citazione del compositore palermitano Salvatore Sciarrino è ricca di significato: mette in evidenza l’enorme potere della musica, il suo essere in grado di spronare un individuo a tal punto da aiutarlo a raggiungere i propri obiettivi. Perché accade questo? Perché la musica offre la possibilità di dare voce ai propri pensieri, alle proprie emozioni, ai propri sentimenti, soprattutto i più profondi e i più nascosti. Entrare nella dimensione musicale e affidarsi a ciò che essa ci suggerisce, permette di evocare stati d’animo, ricordi e sensazioni. Si tratta di un potentissimo mezzo di comunicazione attraverso il quale si può parlare a sé stessi, andando anche a scavare così in profondità da riuscire a far vedere la luce agli eventi più intensi. Allo stesso tempo, come suggerisce Sciarrino, la potenza della dimensione musicale può essere tale da fungere da monito per il raggiungimento dei propri sogni: è come se la musica aiutasse, in alcuni casi, a vedere tutto più chiaramente, come se fosse in grado di mettere insieme i pezzi del puzzle del futuro di ognuno. Ciò accade quando si rompono le catene, quando si è disposti a lasciarsi attraversare dai suoni, quando ci si abbandona verso la parte più profonda dell’essere. Nel corso degli ultimi decenni, la psicologia ha ampiamente riconosciuto la valenza emozionale della musica e l’ha tradotta nella pratica della musicoterapia, una modalità terapeutica che utilizza la dimensione musicale come mezzo per portare alla risoluzione di determinate situazioni personali. Durante la terapia, infatti, la componente sonora è tale da innescare nell’individuo delle risposte psicologiche che vanno a stimolare l’insorgere delle più nascoste dinamiche della vita emotiva. Tutto ciò viene portato alla luce attraverso l’esperienza musicale che il più delle volte, soprattutto in fase iniziale, avviene con l’improvvisazione. Sono moltissimi gli studi che hanno dimostrato l’importanza della musica nello sviluppo psicofisico del fanciullo, in particolar modo nello sviluppo cognitivo: avvicinarsi alla dimensione musicale aiuta a mantere alta l’attenzione e la concentrazione e stimola la predisposizione all’apprendimento e all’ascolto. Diversi sono gli aspetti appartenenti prettamente all’ambito musicale che si rivelano di fondamentale importanza per alimentare la crescita globale del bambino, ad esempio il ritmo, e non è un caso che l’Organizzazione delle Nazioni Unite abbia inserito nella convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza l’insegnamento delle discipline musicali nei programmi educativi delle scuole dell’infanzia. Come spiega Roberto Barbieri, musicista e didatta della musica, per i fanciulli si rivela di assoluta importanza entrare in contatto con la musica: si tratta di un’opportunità che non può non essere colta, soprattutto perché approcciarsi fin da subito alla dimensione musicale vuol dire alimentare lo sviluppo dell’intelligenza emotiva. È soprattutto attraverso la body percussion che vengono stimolate più abilità contemporaneamente, come ad esempio quelle linguistiche in quanto ad ogni gesto del corpo viene associata la verbalizzazione di una sillaba. Questo aspetto offre determinati vantaggi perché non solo è un modo che l’insegnante e l’educatore possono utilizzare per avvicinare il bambino ai suoni della lingua madre (ad es. pa – ta), ma può anche aiutare a comprendere se possono esserci o meno difficoltà che potrebbero richiedere l’intervento di un logopedista. Naturalmente vengono messe in gioco anche le capacità cinestesiche, le quali portano al potenziamento delle abilità corporee e della coordinazione motoria; la body percussion in partcolare è maggiormente legata al movimento ritmico, che aiuta i bambini a potenziare anche la gestione e la consapevolezza del tempo e dello spazio. Un educatore e un insegnante che inseriscono all’interno del proprio programma educativo delle attività che si rifanno all’ambito musicale, sicuramente contribuiscono ad uno sviluppo più completo del bambino. A contribuire è anche un ulteriore aspetto tipico della musica: essa è un grande strumento di aggregazione ed è di natura assolutamente inclusiva. Essendo in grado di favorire la creazione di un clima sereno inclusivo e predisposto all’apprendimento, vengono messe in gioco tutte le possibilità per potenziare le competenze affettive e di relazione. È importante sottolineare che ogni infante possiede un’innata capacità musicale, che nel tempo può essere o meno sviluppata dall’adulto competente. Al momento della nascita ognuno ha un determinato livello di attitudine musicale alla dimensione musicale e un caso a parte è quello dei bambini prodigio come Mozart che già all’età di tre/quattro anni dimostrava un’abilità clavicembalistica assolutamente notevole. Il Metodo Gordon, ad esempio, si fonda proprio su questo principio e suggerisce una serie di strategie didattiche che aiutano i bambini fin dall’età neonatale ad alimentare le loro già presenti predisposizioni musicali. “La capacità potenziale di comprendere la musica non è un'attitudine speciale concessa a pochi eletti: tutti gli esseri umani la possiedono” Edwin E. Gordon
Per concludere, si vuole sottolineare l’assoluta necessità di inserire i bambini all’interno di un contesto musicale fin da piccolissimi, affinché possano portare al massimo livello non solo le proprie abilità musicali, ma soprattutto quelle cognitive. Il punto di partenza è la musica, tutto il resto viene da sé.
Chiara Fanfarillo, diplomata in pianoforte al Conservatorio Licinio Refice di Frosinone e laureata in Scienze della Formazione Primaria presso l’Università Roma Tre - Collaboratrice della Dott.ssa Antonella De Luca nel Progetto "ComunicaMente"
Buonasera, domani 27 marzo 2021 alle ore 16:30 potrete partecipare al webinar gratuito: "ComunicaMente. Un percorso sulla comunicazione a scuola e sulla relazione didattica". Il link per potervi collegare è: